LE INDIGENE DI TLAOLA Un amore immenso per la propria terra, la fierezza di un antico popolo, l’orgoglio di essere donne, la volontà di lottare per quei diritti da sempre negati da una società prepotentemente maschilista.
Tlaola, Sierra Norte, Stato di Puebla, 2300 mt s.l.m. Altipiani semiaridi che man mano lasciano il posto ad una fitta vegetazione avvolta da una coltre umida. Il cuore del Messico. Un piccolo villaggio in mezzo ad una natura ostile che nei secoli ha emarginato questo popolo. Unico sostentamento agricoltura e allevamento. Un isolamento geografico che ha creato in questa gente un radicato senso di appartenenza alla propria comunità. Come una piccola bolla di vetro dove la realtà arriva filtrata e ovattata. Una cronostasi. Il tempo qui sembra essersi fermato. Una lotta quotidiana fatta di rinunce, di un costante doversi arrangiare. Questa è la terra degli indigeni Nahua, eredi degli Aztechi. Una Comunità indigena che sembra come una delle tante sparse nella foresta, ma dove, invece, da anni si è alzato un grido, quello di chi vuole un futuro migliore, degno e senza la discriminazione di genere che caratterizza l’intero Paese. In questi luoghi, donne, madri e figlie non hanno diritti. In Messico, ma anche in tutta l’America Centrale e Latina, la discriminazione inflitta al genere femminile è una questione di forte attualità, che affonda le sue intricate e contorte radici in un antichi modello patriarcale, il cosiddetto machismo. Un male subdolo, celato tra i luoghi più impensati, che avvinghia i suoi tentacoli sulla dignità femminile e che nonostante si sia ampliata e modificata la giurisdizione non si riesce ad estirpare. Centinaia di donne, ragazze e bambine spariscono nel nulla, ogni giorno. Si stima che vengano assassinate in media sette donne al giorno e ciononostante il femminicidio rimane un crimine non ancora riconosciuto in tutto il Paese. Una violenza tale da provocare un annientamento fisico e psicologico della personalità femminile. La probabilità di esserne vittima è altissima soprattutto in quei contesti sociali dove regna la povertà, l’emarginazione e l’esclusione da qualsiasi forma di istruzione. Quasi quattro milioni e mezzo di donne messicane, dai quindici anni in su hanno subìto abusi sessuali durante l’infanzia. Circa ventotto bambine, tra i dieci e i quattordici anni, partoriscono dopo aver subito abusi da molestatori che sono spesso familiari stretti. Un Paese, il Messico, macchiato di fiumi di sangue innocente, dal cui ventre, però, si è levato il grido di chi non vuole più provare la vergogna di non essere creduta e di venire colpevolizzata, spesso, dalle stesse autorità. Tra le baracche e le strade polverose di Tlaola, infatti, un gruppo di donne indigene Nahua, stanche di subire ogni negazione, lotta da anni per la propria libertà e per accedere al diritto di proprietà su quella Madre Terra che da sempre coltivano fra lacrime e sangue. Indigene, orgogliose di essere donne, con la volontà di lottare per quei diritti da sempre negati dalla società prepotentemente maschilista. Qui, in questa periferia del Mondo, esse vogliono un futuro migliore per se stesse e per le nuove generazioni. Queste donne hanno voluto e saputo trasformare l’amore per la loro terra in un Progetto, MOPAMPA, che in lingua Nahuatl significa “Per te” e hanno fondato una Comunità di assistenza, la Casa de la Mujer Indigena Yoltika, per aiutare chi non riesce a difendersi da un male che sembra incurabile. Un cammino tortuoso, il loro, tutto in salita. Sono donne, però, che hanno voluto fare la differenza, donne fiere e forti, che non si sono arrese e non si arrendono. Ogni giorno attrezzate della loro semplicità, di sorrisi e di coraggio, si recano nei piccoli villaggi annidati tra la fitta vegetazione della foresta messicana per aiutare chi subisce rimanendo chiusa nel proprio dolore. Simili a discepole, sono state additate come pazze e rivoltose, maltrattate e mal giudicate. Esse sono“Contadine che da sempre hanno sofferto una tripla discriminazione: per essere donne, per essere indigene e per essere povere”. Indigene orgogliose e appassionate che raccolgono i frutti della terra per fare impresa, riuscendo ad inserirsi anche nel circuito di Slow Food, nobilitando il territorio dove sono nate e cresciute e creando uno spiraglio di luce per le loro figlie e per tutte le figlie di un intero Paese. Sono queste le Donne di Tlaola.
TLAOLA'S INDIGENOUS WOMEN An immense love for one's own land, the pride of an ancient people, the pride of being women, the will to fight for those rights that have always been denied by an overwhelmingly male-dominated society. Tlaola, Sierra Norte, State of Puebla, 2300 mt s.l.m. Semiarid plateaus that gradually give way to dense vegetation wrapped in a damp blanket. The heart of Mexico. A small village in the midst of a hostile nature that for centuries has marginalized this people. Unique livestock and livestock support. A geographical isolation that has created in these people a deep-rooted sense of belonging to their community. Like a small glass bubble where reality arrives filtered and muffled. A chronostasis. The weather here seems to have stopped. A daily struggle made of sacrifices, of a constant having to make do. This is the land of the indigenous Nahua, heirs of the Aztecs. An indigenous community that seems like one of the many scattered in the forest, but where, instead, a cry has been raised for years, that of those who want a better future, worthy and without the gender discrimination that characterizes the entire country. In these places, women, mothers and daughters have no rights. In Mexico, but also throughout Central and Latin America, the discrimination inflicted on the female gender is a highly topical issue, which has its intricate and twisted roots in an ancient patriarchal model, the so-called machismo. A devious evil, hidden among the most unexpected places, which clings to its tentacles on the dignity of women and despite the fact that the jurisdiction has expanded and changed, it is not possible to eradicate it. Hundreds of women, girls and boys disappear into thin air, every day. It is estimated that on average seven women are murdered a day and yet femicide remains a crime not yet recognized throughout the country. A violence such as to cause a physical and psychological annihilation of the female personality. The probability of being a victim is very high, especially in those social contexts where poverty, marginalization and exclusion from any form of education reign. Almost four and a half million Mexican women, aged fifteen and up, have been sexually abused during their childhood. About twenty-eight girls, between the ages of ten and fourteen, give birth after being abused by offenders who are often close family members. A country, Mexico, stained with rivers of innocent blood, from whose belly, however, has raised the cry of those who no longer want to feel the shame of not being believed and of being blamed, often by the same authorities. Among the shacks and dusty streets of Tlaola, in fact, a group of indigenous Nahua women, tired of being subjected to any denial, have been fighting for years for their freedom and for accessing the property right over that Mother Earth that they have always cultivated with tears blood. Indigenous, proud to be women, with the will to fight for those rights that have always been denied by the overwhelmingly male-dominated society. Here, in this periphery of the world, they want a better future for themselves and for new generations. These women wanted and knew how to transform their love for their land into a Project, MOPAMPA, which in the Nahuatl language means "For you" and they founded a Community of assistance, the Casa de la Mujer Indigenous Yoltika, to help those who fail to defend against an evil that seems incurable. A winding path all uphill. They are women who wanted to make a difference, proud and strong women, who did not give up. Every day equipped with their simplicity, smiles and courage, they go to the small villages nestled among the thick vegetation of the Mexican forest to help those who suffer and remain closed in their pain. Similar to disciples, they have been pointed out as crazy and rebellious, mistreated and misjudged. They are "Farmers who have always suffered triple discrimination: to be women, to be indigenous and to be poor". Proud and passionate indigenous people who harvest the fruits of the earth to do business, managing to fit into the Slow Food circuit, ennobling the territory where they were born and raised and creating a glimmer of light for their daughters and all the daughters of a whole Country. These are the Women of Tlaola.