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El BLOQUEO
Il “Paradiso” dell’Embargo

Novembre 2014. Un viaggio nel Paradiso delle contraddizioni. Una documentazione per mostrare l’altra faccia di Cuba, quella della cruda e amara realtà vissuta dal popolo cubano in oltre cinquant’anni di Embargo. I sostenitori dicono che l'embargo sia stato un provvedimento motivato contro un governo oppressivo e spina nel fianco di Washington. I critici lo hanno giudicano semplicemente una politica fallimentare che ha colpito il popolo e non il governo. Una realtà spesso disattesa e soffocata, che il mondo poco conosce, abbagliato solamente dall’altra faccia della medaglia, quella turistica. Un quasi Paradiso che non è facile da descrivere, perché 'Cuba se paga en alma'. Sì, perché quando chiudi gli occhi e ti lasci trasportare dai sensi, Cuba la puoi sentire ancora mentre ti sfiora, ti abbraccia, ti accoglie e ti sorride, ma poi all’improvviso come una coltellata la senti che ti sbatte in faccia la sua cruda realtà.
Lo sfarzo turistico si dirada mentre si attraversano i vicoli e l’Avana, vecchia ed elegante signora, mostra l’altro suo volto, quello che è in stato di completo abbandono. Uno stato di abbandono fatto di ruderi, di vecchi palazzi fatiscenti dalla vernice scrostata, di strade polverose con voragini e pozzanghere, case senza porte e senza finestre dove è assurdo il pensiero che qualcuno possa viverci finché non vedi i panni stesi.
A Cuba ci sono i ricchi e poi ci sono i cubani poverissimi. Un dualismo che si piazza davanti agli occhi ovunque. Ci sono i senzatetto, i mendicanti, quelli che rovistano nei bidoni della spazzatura. E poi c’è la doppia moneta che ha allargato ancora di più il divario tra le classi sociali. Chi è nato fortunato e guadagna in CUC vive dignitosamente; chi sta dall’alta parte e guadagna in moneda nacional, dal valore bassissimo, a stento riesce a sopravvivere. E allora ognuno è costretto ad arrangiarsi sottobanco per racimolare qualche moneta in più.
Le finestre aperte al piano terra di molti fabbricati mostrano merci di vario genere. In realtà non sono negozi ma abitazioni. Così se vuoi comprare qualcosa non devi fare altro che chiamare la padrona di casa, che nel frattempo guarda la tv o cucina. Due assurdi mondi paralleli…da una parte c’è l’economia ufficiale regolata dalle leggi rigidissime dello Stato, dall’altra parte c’è l’economia clandestina che è un liberismo puro. Non ci sono leggi, niente diritti per i lavoratori, niente sicurezza, nessun controllo sulle discriminazioni, nessuno stipendio minimo, nessun controllo su prezzi e qualità. Pochi beni alimentari, cucina frugale. Anche comprare un cappellino, un paio di jeans o una maglietta per i cubani ha il costo di uno stipendio mensile.
Poi c’è la sanità, che è scadente, se paragonata ai livelli europei o occidentali, ma all’altezza comunque della situazione isolana, dove fra l’altro è alto il tasso di incidenza dei tumori con in testa l’Avana, classificata come una delle città più inquinate al mondo. All’Avana non si respira. Le affascinanti macchine anni Cinquanta che smarmittano tutto il giorno fumi neri e densi lasciano una coltre di nebbia. Così dopo un po’ i tossisci cominciano a bruciarti gli occhi e ad invaderti i polmoni.
Ovunque, a Cuba, è onnipresente il passato; il presente invece è quasi completamente ignorato e il futuro non esiste proprio.
Le scuole appaiono quasi belle, decadenti ma vive. Se chiedi alle direttrici di entrare ti fanno entrare e vieni circondato, immediatamente, da tanti studenti curiosi che ti fanno mille domande. L’analfabetismo è però quasi inesistente.
Per le strade vedi gente che cammina senza una meta precisa, che lavora, che aspetta una mancia o che semplicemente sta seduta sul marciapiede a guardare la vita che inesorabilmente gli scorre davanti.
Accanto agli alberghi di lusso e alle antiche case coloniali si trovano i quartieri periferici dimenticati. Gli spazi sono stretti; le baracche di legno, vicine le une alle altre, lasciano passare a stento i raggi del sole in stanze dove l’essenziale si contrappone al lusso dei vicini quartieri turistici. Attraverso le porte sempre aperte vedi le donne che lavano i pavimenti, i bimbi scalzi che giocano nelle misere stanze e vedi anche chi si prostituisce sotto agli occhi dei mariti consenzienti. Negli angoli si gioca a dadi e strani personaggi attendono di essere fotografati per un soldo in più.
Quando arriva il pomeriggio e i colori del tramonto calano sull’isola puoi vedere i ragazzi giocare spensierati e ignari sulla spiaggia della Baia dei porci. Capisci allora che qui quello che conta è l’essenziale. Un semplice aquilone arrangiato, diventa qui un oggetto prezioso. Legato alla sua cordicella accarezza il cielo, quello stesso cielo che il 17 aprile del 1961 vide l’invasione di questa Baia ad opera di 1.453 esuli cubani che avevano lo scopo di rovesciare il regime di Fidel Castro. L’invasione durò solo due giorni e si rivelò un fallimento per i ribelli, che vennero sconfitti e in parte catturati dalle truppe di Castro. Negli occhi di quei ragazzi non c’è storia, ma non c’è neanche speranza.
Più attraversi Cuba, più ti rendi conto di qual è realtà di questo popolo, di quali sono i veri attimi di vita di questa gente. Quello che succede in questo angolo di mondo lo leggi negli occhi persi e tristi delle ragazze che si offrono ai turisti per sopravvivere o mentre decidi di salire, alle quattro del mattino, sul tren de Hershey che collega l’Avana a Matanzas. In realtà è solo un ammasso di ferraglia che i cubani chiamano treno. Un viaggio fatto nel buio, un percorso dietro al quale esiste la pura essenza di questa terra, la sua realtà nuda e cruda. Seduti in una carrozza sporca e maleodorante, dentro un vagone dei primi del Novecento, consumato ormai da migliaia di chilometri. Il macchinista silenzioso rimane per tutto il tragitto con la porta aperta. Armeggia con le leve ponendo attenzione alla strada. Si passa a bruciapelo tra le case, dove detriti di cemento e silos prendono il posto dei fiori e delle staccionate di legno.
La musica fa da contorno a tutto questo. Gruppi di suonatori, molto spesso anziani, seduti sui marciapiedi rievocano i successi cubani, che raccontano semplici momenti di vita, storie d’amore o di rivoluzione. Uomini sempre sorridenti e fieri di quella musica antica e intramontabile.
Un luogo fuori dal tempo. Gente, volti, sguardi, occhi che ti penetrano nell’anima. Si rimane sospesi tra cielo e terra mentre un lampo attraversa i pensieri e ti realizza qual è la vera magia di quest’isola: la semplice essenzialità. La loro vita, così diversa dalla nostra, perennemente in lotta con una quotidianità fatta di rinunce, di un doversi arrangiare, di un dover dividere il poco con tutti, di fare il tutto con il niente. Una vita, quella del popolo cubano, che sembra illogicamente serena. Un popolo che nonostante tutto è sopravvissuto al più lungo embargo della storia dell'umanità in epoca moderna.



El BLOQUEO
Embargo's Paradise

November 2014. A journey in the Paradise of contradictions. My documentation to show the other side of Cuba, that of the raw and bitter reality experienced by the Cuban people in over fifty years of Embargo. Proponents say the embargo was a motivated provision against an oppressive government and thorn in Washington's side. The critics have simply considered it a bankruptcy policy that has hit the people and not the government. A reality often disregarded and stifled, that the world little knows, fascinated only by the other side of the coin, the tourist one. A kind of Paradise that is not easy to describe, because when you close your eyes and you let yourself be carried away by the senses, you feel it while it touches you, embraces you, welcomes you and smiles, but then suddenly, like a stab, it shows you its harsh reality.
Touristic luxury disappears as you cross the alleys and Havana City shows its other face, the one that is in a state of complete abandonment. A state of neglect made of ruins, old dilapidated buildings with peeling paint, dusty streets with chasms and puddles, houses without doors and without windows where it is absurd to think that someone can live there until you see the clothes hanging.
On island there are the rich and then there are the very poor Cubans. A dualism that stands before the eyes everywhere. There are the homeless, the beggars, those who rummage in garbage cans. And then there is the double currency that has widened even further the gap between the social classes. Cubans earning CUC live in dignity; those who earn with the moneda nacional can barely survive. And then everyone is forced to scrape some more coins.
The windows open on the ground floor of many buildings show goods of various kinds. In reality they are not shops but homes. So if you want to buy something you have to call the landlady, who in the meantime is watching TV or cooking. Two absurd parallel worlds ... on the one hand there is the official economy regulated by the rigid laws of the state, on the other side there is the underground economy that is a pure liberalism. There are no laws, no rights for workers, no security, no control over discrimination, no minimum salary, no control over prices and quality. Few food goods, frugal cuisine. Even buying a hat, jeans or a t-shirt for the Cubans costs a monthly salary.
Then there is the health, which is poor, compared to the European or Western levels, but manages to cover the problems of the island, where among other things is high the number of cancer patients with head in Havana, classified as one of the most polluted cities in the world. You cannot breathe in Havana. The fascinating Fifties machines, which emit black and thick fumes all day long, create a blanket of fog. So after a while the smog begins to burn your eyes and invade your lungs. Everywhere, in Cuba, the past is omnipresent; the present is almost completely ignored and the future does not exist.
Schools appear almost beautiful, decadent but alive. If you ask the Chief to enter she will let you in and be surrounded, immediately, by many curious students who ask you a thousand questions. Illiteracy is however almost non-existent.
On the streets you see people walking without a precise destination, working, waiting for a tip or simply sitting on the sidewalk to watch life inexorably running before them.
Next to the luxury hotels and the old colonial houses are the forgotten suburbs. The spaces are tight; the wooden shacks, close to each other, barely let the sun's rays pass in rooms where the essential is opposed to the luxury of the nearby tourist quarters. Through the doors always open see the women who wash the floors, the barefoot children playing in the poor rooms and also see the women who make prostitutes near the consenting husbands. In the corners the boys play dice and strange characters wait to be photographed for some more coins.
When the afternoon comes and the colors of the sunset fall on the island you can see the carefree and unsuspecting boys playing on the Bay of Pigs beach. You understand then that here what matters is the essential. A simple arranged kite becomes a precious object here. Tied to his rope caresses the sky, the same sky that April 17, 1961 saw the invasion of this Bay by 1,453 Cuban exiles who had the aim of overthrowing the regime of Fidel Castro. The invasion lasted only two days and proved to be a failure for the rebels, who were defeated and partly captured by Castro's troops. There is no story in those boys' eyes, but there is no hope either.
Crossing Cuba, you realize what is the reality of this people, what are the real moments of life of these people. What happens in this corner of the world reads him in the lost and sad eyes of the girls who offer their bodies to the tourists to survive or while you decide to climb, at four in the morning, on the tren de Hershey connecting Havana to Matanzas. In reality it is only a cluster of scrap metal that the Cubans call a train. A journey made in the dark, a path behind which there is the pure essence of this land, its bare and raw reality. Sitting in a dirty and foul-smelling carriage, inside a wagon of the early twentieth century, consumed by thousands of miles. The silent driver stays all the way with the door open. Tinker with levers paying attention to the road. It passes point-blank between the houses, where cement debris and silos take the place of flowers and wooden fences.
Music surrounds all this. Groups of players, very often elderly, sitting on the sidewalks recall the Cuban successes, which tell simple moments of life, stories of love or revolution. Men always smiling and proud of that ancient and timeless music.
A place out of time. People, faces, looks, eyes that penetrate your soul. You remain suspended between heaven and earth while a flash runs through the thoughts and realizes what is the true magic of this island: the simple essentiality. Their life, so different from ours, perpetually struggling with a daily life made of sacrifices, of having to arrange, of having to share the little with everyone, to do everything with nothing. A life, that of the Cuban people, that seems illogically serene. A people that despite all has survived the longest embargo in the history of mankind in modern times.