LAST WATERPiogge violentissime, alluvioni, siccità e desertificazioni, fenomeni ai quali stiamo assistendo sempre più spesso e che in futuro potrebbero essere amplificati dal Global Warming con un’influenza sempre più devastante per la nostra sopravvivenza.
Il deterioramento del suolo e il prosciugamento delle risorse idriche stanno togliendo tutte le fonti di sostentamento ad intere popolazioni di Africa, Asia, Medio Oriente ed America Latina, provocando, ogni anno, la morte per malnutrizione di circa 400.000 persone.
Il Climate Change è, dunque, un dramma che sta spingendo sull’orlo di un baratro numerose etnie che, così, rischiano di scomparire per sempre.
L’United Nations High Commissioner for Human Right (OHCHR) lo ha identificato come fattore di rischio per il Diritto alla Vita, al Cibo, all’Acqua e alla Salute.
E’ la connessione tra cambiamenti climatici e Diritti Umani che sta ponendo sempre di più l’attenzione sugli effetti disuguali che si stanno verificando in varie aree del Mondo.
Si prevede che saranno i Paesi con climi tropicali e subtropicali, come quelli africani, ad essere i più colpiti e devastati.
La Contea di Turkana, regione nord-occidentale del Kenya, ne è un esempio tangibile.
Conosciuta anche come Culla dell’Umanità, per i numerosi reperti fossili di grande rilevanza per la storia dell’evoluzione umana, tra cui quelli del Turkana Boy, è una delle aree del Paese più aride, più povere e più colpite dai cambiamenti climatici.
Il 2019 ha fatto registrare in questa zona una delle più gravi crisi di siccità dopo quella del lontano 1981.
Qui la sopravvivenza di 1.250.000 persone dipende dalla regolarità delle piogge, la cui portata, però, si è drasticamente modificata facendole diventare sempre più rare, più brevi e sempre meno prevedibili.
Tra il 1967 e il 2012, in questa regione, le temperature medie sono aumentate di 2 – 3 gradi centigradi, un tasso di gran lunga superiore rispetto ad altre zone del Mondo, con una media di 45 gradi per almeno cinque mesi all’anno.
In Turkana il deserto avanza e la terra si spacca. L’agricoltura è al collasso e i pascoli disponibili si sono drasticamente ridotti.
La maggior parte della popolazione vive di pastorizia e gli animali sono ancora considerati indicatori di status sociale.
Milioni di animali, morti per fame e per sete, affiorano dalle aride sabbie di quelli che un tempo erano pascoli e fiumi. Migliaia sono i pastori che si sono dovuti adattare, spostandosi sulle rive dell’omonimo Lago, diventando pescatori.
La pesca è, oggi, per oltre un terzo di questa gente, l’unica alternativa per sopravvivere. La loro vita è scandita dai ritmi del Lago, uno dei più grandi laghi alcalini del Mondo. Nelle sue acque basse pescano i bambini. La loro manodopera è essenziale per il sostentamento delle famiglie, ma significa anche che devono rinunciare all’istruzione. Gli adulti pescano a bordo di vecchie barche. I pesci grandi vengono venduti freschi, quelli più piccoli vengono fatti essiccare al sole e al vento. Al centro di smistamento di Kalokol, gli operai imballano pacchi da 25mila pezzi, che vengono caricati sui camion e spediti prevalentemente in Africa Centrale.
Il pesce adesso scarseggia perché il Lago si sta lentamente prosciugando anche a causa delle dighe costruite sui suoi immissari, che tolgono affluenza di acqua.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha designato questo territorio come zona di crisi alimentare e di sussistenza.
L’emergenza per l’accesso all’acqua sta mettendo a rischio la vita di 500.000 bambini al di sotto dei cinque anni.
Più del 32% della popolazione dell’Africa subsahariana non ha accesso all’acqua potabile.
Una Risoluzione delle Nazioni Unite riporta che sul pianeta una persona su otto non ha ancora accesso all'acqua potabile e che questo provoca la morte di tre milioni di persone ogni anno. Dai dati diffusi dall’ONU emerge che, ogni anno, oltre 1,5 milioni di bambini, di età inferiore ai 5 anni, muoiono per la mancanza di acqua potabile e che oltre 443 milioni di giorni di scuola si perdono a causa delle malattie legate alla qualità dell’acqua stessa e alla mancanza di strutture igieniche.
Il Turkana sta vivendo una crisi catastrofica e non ci sono mezzi per poterla affrontare.
In questa periferia del mondo il “peso” di quella poca acqua che ancora rimane grava sulle spalle di donne e bambini che, ogni giorno, camminano per ore in cerca di acqua potabile.
Assetati! Ogni giorno rischiano la vita, attraversando le zone desertiche, per andare a scavare pozzi tra le sabbie infuocate dei fiumi secchi.
Tra di loro ci sono madri disperate che trasportano i figli malati alla ricerca di un ospedale e a questi pozzi attingono per dissetarsi prima di proseguire verso la speranza.
Su quelle fragili spalle trasportano vecchi barili di plastica riempiti spesso in fonti contaminate da batteri, escrementi di animali ed insetti. I più piccoli, al di sotto dei cinque anni, muoiono spesso a causa della diarrea, ma gran parte della popolazione si ammala e muore anche per colera e malaria.
In questa parte del Mondo, la Terra non ha più niente da offrire ai suoi figli. Su di loro incombe sempre di più l’ombra della morte.
In Turkana è a rischio l’identità di un popolo che, a causa dei cambiamenti climatici, per poter sopravvivere, si vede sempre di più costretto ad innescare veri e propri conflitti tra le tribù.
In Turkana si combatte e si muore per un’ultima goccia d’acqua.